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Il Sindacato dei Cittadini C.S.T. Modena e Reggio Emilia

Un paese in cui aumenta il lavoro precario è un paese destinato al declino demografico ed economico

Data di pubblicazione: 21/12/2017 11:00

Un paese in cui aumenta il lavoro precario è un paese destinato al declino demografico ed economico, al disagio sociale, all’aumento delle povertà. La proposta della UIL: Rendere più conveniente il lavoro stabile.

I dati sul lavoro riferiti al III trimestre di quest´anno confermano che,  pur in presenza di una costante e lieve crescita dell’occupazione, gran parte di essa è dovuta a contratti temporanei. Questo nonostante le interpretazioni fantasiose di chi è rimasto fermo allo slogan del  milione di posti di lavoro. Realizzati sicuramente ma vi sono compresi i contratti a settimana che statisticamente contano, ma sono irrilevanti rispetto ad una vera e sana occupazione.

 Nel grande mondo del lavoro a termine vi sono aspetti virtuosi e fisiologici,  come nei casi di stagionalità o sostituzione, ma anche come risposta (contrattualizzata) a forme di flessibilità meno tutelanti per le lavoratrici e lavoratori (è il caso dei vecchi voucher o di collaborazioni fittizie).

 Altro è il discorso relativo all’improprio utilizzo del contratto a tempo determinato per lavori che hanno una fondata ragione di continuità nel tempo. È giusto, quindi, intervenire su tale tipologia contrattuale operando soprattutto sui costi per rendere conveniente il contratto stabile.  

 La piccola ripresa dell’occupazione giovanile deriva probabilmente dalle varie misure ad hoc pensate per tale fascia di età (Garanzia Giovani, apprendistato, decontribuzione). E’, quindi, giusto continuare a sostenere interventi che stimolino le imprese ad assumere, calibrandoli verso il lavoro stabile.

 Tutto ciò va, però, accompagnato da politiche strutturali di sostegno alla crescita economica investendo in opere pubbliche, politiche per la formazione, e un fisco meno aggressivo.

I dati di flusso delle Comunicazioni Obbligatorie, riferiti ai rapporti di lavoro attivati nei primi 9 mesi del 2017, fotografano un lavoro flessibile che raggiunge la più alta incidenza dell’ultimo quadriennio: l’82,5% a fronte dell’80% nel 2016, del 77,4% nel 2015 e dell’80,7% nel 2014.

Un’incidenza, questa, fortemente influenzata dalle attivazioni di contratti a tempo determinato: ogni 100 contratti avviati, 70 sono stati a tempo determinato, solamente 14 a tempo indeterminato. Nel 2015, con l’introduzione dell’esonero contributivo totale e triennale, l’incidenza del tempo determinato, comunque alta, era inferiore (67,5%) e il tempo indeterminato assorbiva il 21% dei rapporti di lavoro accesi.

 Analizzando più da vicino i dati, riscontriamo che su oltre 8 milioni di rapporti di lavoro accesi nel periodo gennaio-settembre 2017 (+13,8% rispetto allo stesso periodo del 2016), si è registrata una caduta dei contratti a tempo indeterminato (-4,9% sullo stesso periodo del 2016) e una ripresa dei contratti a tempo determinato (+14,7% rispetto a stesso periodo del 2016).

Cosa continua a spingere i datori di lavoro a utilizzare i contratti a tempo determinato anziché dei contratti stabili?

 La risposta, secondo noi, è principalmente da attribuire a un costo del lavoro non sufficientemente conveniente del contratto a tempo indeterminato. I dati ci dicono infatti che, in presenza di sgravi/esoneri contributivi e fiscali (Irap) che abbassano il costo del lavoro del tempo indeterminato in maniera “concorrenziale” con il contratto a tempo determinato, le aziende sono “incentivate” ad assumere in maniera stabile. Diversamente, quando gli sgravi si riducono o cessano, i contratti temporanei crescono. Èquindi, principalmente, una questione di “costo del lavoro” su cui occorre intervenire per colmare il gap tra flessibilità/precarietà e stabilità lavorativa.

 

Certamente quello della durata di tali contratti è una questione su cui deve aprirsi una riflessione, visto il forte aumento in questi anni di contratti di breve e brevissima durata come ha anche evidenziato il recente “Rapporto sul mercato del lavoro” elaborato, in maniera integrata, dal Ministero del Lavoro, Istat, Inps, Inail, Anpal. Dal rapporto emerge, infatti, come il contratto a tempo determinato di breve durata (max 91 giorni) abbia, nel 2016, coinvolto 850 mila lavoratori.

Riteniamo, però, che non è semplicemente intervenendo sulla  riduzione della durata  del/i  contratto/i a tempo determinato (oggi fissata dalla legge a 36 mesi complessivi) o sulla contrazione del numero di proroghe (attualmente 5) che si raggiunge l’obiettivo di incentivare i contratti di lavoro stabili. È necessario, bensì, intervenire sulla “NON CONVENIENZA ECONOMICA”, per i datori di lavoro che attivano contratti a termine non giustificati da una necessità oggettiva nell’instaurare rapporti temporanei che, spesso, vengono utilizzati per prolungare, in maniera patologica, periodi di prova  o per tenere il lavoratore “sotto pressione”.

La situazione nelle province di Modena e Reggio

I dati evidenziati nel rapporto sono sostanzialmente in linea  cin quanto si verifica da noi. Nelle nostre province emiliane i dati occupazionali confermano la tendenza nazionale. Ma la preoccupazione rispetto alla fragilità dell’attuale fase di modesta crescita è che prima  o poi si possa esaurire facendoci precipitare di nuovo nella crisi e nella recessione iniziata 10 anni fa. Non ce lo possiamo permettere

Vi sono inoltre vertenze storiche che devono trovare soluzione nella salvaguardia dell’occupazione e dei diritti contrattuali. Dalla Maserati alla Landi, alla vertenza Seta e alla grande Distribuzione per i rinnovi contrattuali, tra cui spicca quello dell’Edilizia e del Pubblico Impiego. Il sindacato, impegnato su più fronti, è chiamato ad un grande sforzo, anche in virtù dell’incertezza del quadro politico che si determinerà nel 2018.

Luigi Tollari Segretario Generale CST UIL  Modena e Reggio Emilia